Homecoming

Il profumo del mare. È la prima cosa che senti, quell’aria tiepida che si infila prepotente nelle tue narici dopo mesi di freddo e alberi spogli. E poi c’è il tepore del sole, il colore del cielo, le persone che la fila proprio non la sanno fare. Mettersi in punta di piedi mentre aspetti il bagaglio e quando le porte si aprono cercare speranzosa uno sguardo conosciuto. E poi con le valigie in mano correre, correre e tuffarsi fra le braccia che sanno di casa. Sono tante le cose che rendono unico il ritorno. È un’esperienza agrodolce che inizia in discesa, quando dal finestrino dell’aereo vedi le luci della città farsi più grandi e il mare che bacia la costa mentre tu lo fissi inebetita con il cuore che batte e un sorriso che dice: sono a casa.

Tornare a casa è abbracciare le persone che ami, abbracciare quello che ti sei persa, cercare di recuperare con orecchie affamate e occhi insaziabili tutto quello a cui non hai potuto partecipare nei mesi di assenza. Le storie, i come sei fatta magra!, le aggiunte sugli scaffali, le novità, il cibo fresco, recuperare i chili persi, riaggiornarsi con i lavori in corso, con gli amici, con i posti che hanno aperto, quelli che hanno chiuso, con quelli che crescono, e proporre e riproporre progetti, cose da fare e posti da vedere e rivedere. 

Tornare a casa è anche un po’ ridimensionarsi. È camminare per strada con un bagaglio un po’ più grande e cercare di farsi largo fra le mura strette dei ricordi, è fare paragoni mentali, associazioni che non sempre funzionano, è pensare in due lingue e dire come si dice…?, è guardare con occhi nuovi tutto, anche le cose che non sono cambiate (e che forse non cambieranno mai). 

E veniamo anche alla parte più difficile. Perché tornare a casa è anche rendersi conto del perché sei andato via. È sentire la stessa frustrazione che ti ha spinto a fare la valigia, è assaporare con ogni papilla il gusto amaro della delusione e cercare di restare aggrappati alla speranza che le cose possano cambiare quando le tue mani cominciano a mollare la presa. 

Tornare a casa è un po’ come provare ad infilarsi un paio di vecchie scarpe preferite, uno che i tuoi genitori ti avevano regalato per il tuo dodicesimo compleanno. Un paio che non butteresti mai, non importa quanti buchi, quanti graffi, non importa quanto possa essere logoro e scolorito. Eppure ti rendi conto, dopo tanti sforzi, dopo tanti tentativi, che quelle scarpe non le puoi indossare più. Resti lì, con le scarpe in mano, troppo piccole per indossarle, troppo importanti per buttarle via, e ti guardi in giro, alla ricerca di un nuovo paio, in un mondo così pieno di modelli e colori diversi che ad un certo punto cominci a dubitare di riuscire a trovare la tua misura, un giorno. E così riparti alla ricerca di un nuovo paio, uno che ti possa stare bene, e il tuo bagaglio si riempie, si fa un po’ più pesante, insieme alla mancanza.

Tornare a casa non vuol dire doverci rimanere. Tornare a casa può essere un punto di partenza, un modo per rilanciarsi verso nuovi orizzonti e nuove destinazioni, e poi tornare e ritornare con lo sguardo pieno di ricordi e la testa piena di progetti. Certo, chi lo sa, a volte a casa si torna per rimanere, per costruire, per migliorare. Per scoprire che, forse, quelle scarpe non erano poi così tanto strette.

Commenti

  1. L'internet è appena diventato un posto più bello.

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    1. E questo post non sarebbe qui senza il tuo incoraggiamento. Grazie mille, sempre. (:

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