Lamentarsi è facile come respirare

Spunti di riflessione sulle lamentele. O più semplicemente: una lamentela sulle lamentele.

È facile dire cos’è che non va, la lista l’abbiamo tutti pronta. In fila alle poste, accanto all’amico al bar, in giro con la macchina, al tabacchi per comprarsi il pacco di sigarette e in coda al supermercato. Ce la facciamo tutti a dire cosa non funziona a Palermo. Si sa che ci sono i posteggiatori abusivi, la munnizza per strada, la mafia, la merda sul marciapiede (del cane e forse anche del padrone), la corruzione, quei “cuinnuti!” che se vai in giro di notte ti piantano un coltello sul fianco e pretendono senza tanti complimenti il tuo cellulare, il tuo portafoglio e, perché no, anche il giubbotto. Lo sappiamo che Mondello con le cabine “un si po taliari!” e che l’acqua diventa verde, che gli scheletri e le case abusive sulle montagne sono una vergogna e che “Palermo è bella sono i Palermitani che fanno schifo!”.

Tutto questo e molto altro. Ma quanto è facile dire cosa non va? Quanto fatica  ci vuole a puntare il dito contro? Molto poco. Perché lamentarsi è facile come respirare. Inspira. Espira. Lamentati. Ma cos’è che fanno le lamentele? Perché effettivamente a cambiare le cose le lamentele non servono, servono le azioni. Ma agire richiede impegno, costanza e, perché no, anche sacrificio... cose che, purtroppo non sembrano necessarie per migliorare la città, “picchì tantu un cancia nianti!”. Il fatto è che quelli che decidono di cambiare le cose non perdono il loro tempo a giocare con le parole, lanciandole come fossero sassi e poi guardarle incuranti come se non fossero cosa loro. Le persone che vogliono cambiare le cose le cambiano con le loro azioni. E non si tratta di azioni “impossibili” o “troppo grandi”, di formare cooperative o associazioni (che poi si sa, vanno a finire in mano alla mafia, no? “tutti mafiusi su’!”). Si parla della vita di ogni giorno, delle cose piccole che fanno la differenza. Le cose che possiamo fare tutti, senza particolari abilità, certificati o raccomandazioni.

Perché non ci vuole una laurea per capire che anziché pretendere le cose come se fossero nostre e cercare di fregare il prossimo come non ci fosse un domani, si potrebbe cominciare a dire grazie, ad imparare la gentilezza, la gratitudine, a vedere la bellezza e a volerla preservare. A fare quattro passi in più e buttare quella carta, che tanto il cestino non era poi così lontano. A raccogliere la merda del tuo cane perché il marciapiede è parte di una casa condivisa, e mi sa che la merda del tuo cane a casa tua o dei tuoi amici di certo non la lasceresti. A sostenere le associazioni oneste, le cooperative, i commercianti locali che rischiano ma il pizzo non lo pagano e  quelli che la ricevuta fiscale te la danno sempre, ad aprire gli occhi e vedere che la città di Palermo da offrire ha tanto, ma spesso noi questi occhi li teniamo chiusi e le orecchie piene di tappi per poter percepire anche il minimo frammento di bellezza. E a cominciare a riconoscere che una parte di colpa ce l’abbiamo anche noi. Perché sì, il sistema non funziona, ma noi non stiamo mica messi meglio. E soprattutto perché non possiamo sperare di cambiare Palermo se prima non cambiamo noi stessi. Le piccole cose fanno parte di noi, e spesso sono proprio quelle dentro di noi che hanno bisogno di qualche modifica. Non sono solo le istituzioni che devono svegliarsi e prendere in mano la situazione, siamo noi a doverlo fare, ogni giorno. Le campagne di sensibilizzazione le dovremmo fare nelle nostre case, con i nostri amici, guardandoci allo specchio: se a Palermo “un cancia nianti!” è perché noi non ci impegniamo a farle cambiare.

Però alla fine ci sono quelli che la mattina si alzano e mettono in pratica i loro valori cambiando, nel loro piccolo, la realtà di ogni giorno. Con tutte le difficoltà che questo comporta e con il rischio di sembrare dei “poveri illusi!”, “inguaribili idealisti” e “anormali”. Però poi i “normali” si alzano la mattina, respirano. E si lamentano.

Commenti